La piazzetta interna di Montemerano. Foto di Andrea Mangoni.Ed eccoci, dopo una lunga pausa, alla continuazione della nostra vacanza toscana. La nostra meta era e restava il piccolo borgo di Montemerano, adagiato tra le colline del grossetano. Frazione di Manciano, è una cittadina molto bella, in cui perdersi nella storia diventa facilissimo.
Il paese di Montemerano, arroccato sulla collina. Foto di Andrea Mangoni.Come arrivare? Uscite dall'autostrada BO-FI a Firenze Certosa, quindi proseguite per Siena prima e Grosseto poi sulla e78 - ss23. Uscite quando vedete le indicazioni per Scansano, e prosegui sempre fino ad arrivare a questo paese. Continuate la vostra strada seguendo le indicazioni per Manciano; dopo una ventina di km troverete una strada a sinistra che indica le località di Saturnia e Semproniano, ma voi proseguite dritti verso "Poderi di Montemerano". Dopo pochissimo un bivio sulla destra vi porterà al paese.
Noi abbiamo preso un appartamento da "Il giardino del centro storico" (Tel. 0564602861); il nostro era sulle mura del castello interno, ma hanno a propria disposizione anche una palazzina bellissima, con giardinetto e terrazze. Per chi poi desiderasse il comfort e le comodità delle terme "ufficiali" di Saturnia, volendo i padroni di casa possono procurarne i biglietti. Il paese è un dedalo di viuzze; venne fatto edificare nel '200, dalla famiglia Aldobrandeschi, e venne via via ampliato in diverse occasioni. Bella ed accogliente la chiesa di S. Giorgio, risalente al medioevo; le mura del castello furono invece costruite in più fasi, dal medioevo al rinascimento. Se volete mangiar fuori... Il ristorante "Al passaparola" (tel. 0564602835), ammantato d'estate da un'imponente bouganvillea viola e ricavato da un vecchio mulino, è decisamente un'ottima scelta anche se non a buonissimo mercato. Però il cibo è ottimo, ed il titolare è un toscano verace che ama parlare coi propri clienti. E visti i contatti... "contadini" che ha, si possono spesso degustare piccole delizie fuori programma - ad esempio a noi sono toccati dei meravigliosi porcini freschi di raccolta. Per comprare il cibo non c'è che l'imbarazzo della scelta: in paese ci sono parecchi negozietti, molti dei quali però hanno prezzi piuttosto salati; in compenso alcuni vendono ottimi prodotti tipici. Per spese più sostanziose e più a buon mercato, recatevi a Manciano, dove troverete piccoli supermercati ben forniti. Le terme naturali di Saturnia. Foto di Andrea Mangoni.
Per chi desiderasse godere dei benefici delle terme di Saturnia, senza rimetterci... il portafoglio, non rimane che andare alle terme gratuite (e bellissime!!) che si trovano prima di arrivare al paese. Prendete la strada per Saturnia, quella che poco prima di Montemerano avete trovato sulla sinistra; dopo alcuni km, la strada curva abbastanza bruscamente a destra, con un angolo di circa 90°, e da lì in poi a sinistra c'è un guardrail scuro imponente. Ecco, PRIMA del guardrail, sulla sinistra, in corrispondenza quasi con il "gomito" della curva, c'è la stradina che porta alle terme gratuite: lasciate la macchina nel parcheggio sterrato e potrete fare il bagno in meravigliose piscine naturali di acqua calda e sulfurea. Non lasciatevi impressionare dai "vermicelli" rossi che affollano il fondo delle vasche: sono larve di chironomidi, un pò schifosette forse ma assolutamente innocue. Ovviamente, vista la sulfureità delle acque, toglietevi ogni gioiello metallico di dosso prima di tuffarvi! Le acque del fiume sottostante le vasche sono freddine, se ci si allontana troppo dalla cascata... ma se si rimane nelle meravigliose vasche semicircolari si godrà di un meraviglioso relax!!
Le colline in giugno biondeggiano di grano. Foto di Andrea Mangoni.Attorno a Montemerano non ci sono solo le terme di Saturnia da visitare; tutti i piccoli paesi dei dintorni (Scansano, Manciano, Semproniano) valgono una visita. Le colline rifulgono del fogliame argenteo degli ulivi e del biondeggiare o del verdeggiare del grano. In primavera, i campi sono punteggiati di greggi. A poco più di un oretta di distanza si trova pure Pitigliano, il paese del tufo, dove è possibile fare acquisti di splendido artigianato legato alla lavorazione del legno d'ulivo. Se preferite il mare, invece, niente di meglio di Grosseto, con il mare vicinissimo fatto di spiagge incastonate tra pinete che arrivano fin quasi alla battigia.
Un'altra bella alternativa è il Parco Naturale della Maremma, sempre vicino a Grosseto, o ancora quello dell'Amiata, prossimo invece a Montemerano e Saturnia. Sono due vie diverse per conoscere meglio la natura selvaggia e bellissima di questi territori ancora tanto meravigliosamente pieni di vita selvatica. Già, perchè non è raro, la sera, incontrare lungo la strada cinghiali, istrici e volpi. Per non parlare di quando, di notte, si può udire nel silenzio l'ululato dei lupi...
Vi ho parlato di Montemerano, ma è tutto il grossetano più interno ad essere un vero gioiello. Se desiderate trascorrere qualche giorno nella natura, nella storia e nella genuinità, fermatevi nella Maremma!
Una quercia svetta sul grano verde smeraldo. Foto di Andrea Mangoni.
I miei nonni materni, Elvira e Pietro.

Qualche tempo fa, da una vecchia scatola di latta sono sbucate fuori una serie di vecchie foto. Frammenti di vita vissuta in altri tempi da persone di cui condivido il sangue, i luoghi e le radici.

Le persone della foto qui sopra sono i miei nonni materni, Elvira e Pietro. Hanno sempre vissuto a Camponogara, e hanno avuto la vita che tanti dei nostri nonni hanno avuto: un'esistenza legata alla terra e alle bizzarie del cielo, una vita dove si lavorava di giorno sotto il sole e si tornava a lavorare la notte con la luce della luna piena. Eppure, hanno saputo lasciare un patrimonio all'apparenza umile ma in realtà inestimabile alle generazioni che li hanno seguiti.

Hanno infatti lasciato un suolo argilloso e malleabile, campi buoni per il grano ed il mais, circondati di fossati profondi dalle acque fresche. Hanno lasciato fazzoletti di terra incorniciati da rive ombrose di olmi scuri e salici scintillanti alla luce del sole. Hanno lasciato i vecchi attrezzi da lavoro, ricavati nelle notti d'inverno da ciò che davano loro le siepi, e polli chioccianti nelle aie assolate, hanno lasciato covoni di fieno brunito e vigneti generosi che in autunno riempiono l'aria con i profumi ed i colori dei grappoli maturi.

E' un'eredità, la loro, che non mi è stata solo lasciata: ci sono cresciuto dentro. Per questo sento questa campagna come un'estensione di me. Lo so, forse può sembrare sciocco, specie agli occhi di chi questo genere di lascito non l'ha ricevuto; ciononostante, spero di poterlo condividere almeno in parte con voi. Ciò che più temo, infatti, è che la loro eredità - l'eredità della loro generazione - finisca con lo scomparire assieme ad una maniera di vivere la terra molto più vera e rispettosa di essa di quanto non lo sia ora.

Anche la mia passione per le rive e per i fossati ha origine da essa, così come il mio ritrovato amore per l'avicoltura tradizionale, che mi ha portato (e mi sta portando) a dedicarmi a razze tipiche del nostro territorio.

Spero, nelle prossime settimane, di potervi parlare ancora di queste eredità, di farvi conoscere oggetti, modi di vivere, piante ed animali che hanno vissuto in qualche maniera nei racconti e nella realtà di questo mondo antico. E vorrei farlo per il più semplice dei motivi: per non lasciarla svanire nel nulla.

Gruppo di polli di razza Megiarola bianca. Foto tratta dal libro Pollicoltura padovana del Cav. Italo Mazzon, anno 1932

Negli ultimi anni, credo di averlo già detto, si fa un gran parlare della biodiversità, cioè della preziosità della variabilità genetica e di come essa si esprima negli organismi all'interno degli ambienti. L'Italia è un Paese che da sempre vanta un'enorme biodiversità, e non solo in campo naturalistico, ma anche in campo agricolo e zootecnico. In particolar modo, per quel che concerne l'avicoltura l'Italia ha visto comparire - e scomparire, purtoppo! - molte razze. Alcune di esse sono state solo fugaci meteore, altre invece hanno lasciato tracce nell'economia rurale o negli autori dell'epoca. Per capirci, stiamo parlando di qualcosa come oltre 60 razze, tra primitive, secondarie e sintetiche!!

Tra tante razze, comparse e scomparse, è possibile risalire ancora al tipo di pollo italiano originale? A quegli animali, cioè, che popolavano i pollai delle famiglie italiane fino almeno al 19° secolo?

Galline di razza Leccese isabella. Foto tratte dal libro Zootecnia speciale di T. Bonadonna, anni 40, e riprese dal sito http://www.ilpollaiodelre.comLa risposta è, invero, abbastanza confortante: sì. Possiamo farlo, perchè alcuni importanti autori italiani che hanno scritto di Avicoltura, come Teodoro Pascal, ci hanno lasciato delle accurate descrizioni di questi animali, e soprattutto perchè abbiamo prezioso materiale fotografico derivante dai primi decenni del secolo scorso e dagli ultimi di quello precedente.

L'immagine del pollo italiano più diffuso, razza chiamata generalmente Italiana comune o locale, è quella di un pollo dai tratti tipicamente mediterranei, con orecchioni bianchi, alto sui tarsi, con portamento decisamente abbastanza eretto tanto per quel che riguarda il corpo che per ciò che concerne la coda. Questi polli, di taglia media, con galli che si aggiravano al massimo sui 2.8 kg, ottimi produttori di uova, erano esportati dla nostro Paese a migliaia alla volta dell'Europa e dell'America, dove si facevano ampiamente apprezzare e finivano talvolta per subire un destino che in Italia era loro negato: quello cioè di essere selezionati con passione. Così, dalla razza Italiana comune vennero selezionate in America le Livorno (che ritornarono poi in patria sotto il termine di Leghorn), in Inghilterra le Ancona, in Germania le Italiener, e così via. L'Italiana comune rimaneva, come potete vedere dalle foto d'epoca che compaiono in questo post, ben rappresentate nella loro forma più tipica.

Galline di razza Fidentina perniciata. Foto tratte dal libro Zootecnia speciale di T. Bonadonna, anni 40, e riprese dal sito http://www.ilpollaiodelre.comNegli anni '30 e '40 si iniziò ad utilizzare e a diffondere la pratica di immettere sangue Leghorn (i cosiddetti "galli miglioratori") nei ceppi locali di Italiana comune, per migliorarne le caratteristiche di deposizione. In seguito, a partire dagli anni '40 e fino agli anni '70 si prese l'abitudine di importare soggetti di Italiener di selezione tedesca per aumentare la taglia e la produttività degli animali. Ora, questa pratica introdusse nelle razze autoctone una serie di caratteristiche che ad esse mancavano, snaturandole in parte. Potete infatti vedere una foto di Italiener in fondo al post: questa selezione tedesca ha formato animali più grossi, pesanti e tozzi dell'Italiana comune, dai tarsi bassi, la linea del dorso più lunga e la coda portata, a riposo, quasi orizzontale. L'indole è meno attiva e più tranquilla. Insomma, una razza sì derivata dalla Italiana comune, ma molto differente da essa. Il risultato fu purtroppo quello di perdere in parte le caratteristiche somatiche tipiche della razza nazionale.

Negli ultimi tempi, sono comparsi in commercio numerosi ceppi di galline vendute come "Italiane comuni locali". Chi si aspettasse di ritrovare le caratteristiche della vecchia razza Italiana comune rimarrebbe, probabilmente, deluso: infatti si tratta in genere di esemplari che si rifanno - geneticamente - alla tedesca Italiener, perchè in questo caso si è partiti dall'assunzione che essa rappresenti in realtà un buon modello del pollo autoctono italiano. A mio avviso, nel far ciò si commette un'errore grossolano, e cioè quello di dimenticare le caratteristiche che l'Italiener ha acquisito nel corso della sua selezione e che non si ritrovavano nei polli italiani d'un tempo; del resto, basta un semplice raffronto fotografico per comprenderne le differenze con quelle razze, come la Leccese, la Megiarola o la Fidentina, che incarnavano il prototipo dell'Italiana comune. Da questo punto di vista, probabilmente la Livorno sarebbe stata una scelta molto più azzeccata dell'Italiener, visto che già alla fine dell'ottocento Pascal ne descriveva le caratteristiche come molto più corrispondenti a quelle dell'Italiana comune.

Personalmente, insomma, credo che sarebbe forse ancora opportuno cercare. Cercare andando con le proprie gambe e guardando con i propri occhi quanto le nostre campagne abbiano ancora da offrire. Il tesoro che potremmo raccogliere è potenzialmente ancora grande, ed un premio maggiore potrebbe essere nostro, quello di aver cioè attivamente contribuito alla salvezza di antichi ceppi delle nostre gloriose razze locali.

Gallo di Italiener. Sito di provenienza dell'immagine: http://www.zwerg-italiener.de/; © Proll

Gallo di Italiener. Sito di provenienza dell'immagine: http://www.zwerg-italiener.de/; © Proll
Una femmina di macaone (Papilio machaon) si trattiene sui fiori di buddleja. Foto di Andrea Mangoni.
Una femmina di macaone (Papilio machaon) si nutre sui fiori di buddleja. Tutte le foto sono di Andrea Mangoni

Puntuale come ogni anno, l'amico d'infanzia è tornato, e si è fatto rivedere.

Ieri, infatti, sul grande cespuglio (cespuglio? Albero!) di ligustro in fiore, ho visto il primo macaone (Papilio machaon) dell'anno.

Amcio d'infanzia perchè, fin da piccolo, questa mi sembrava la regina delle farfalle; amico d'infanzia perchè i suoi bruchi colorati rappresentavano un ambito premio per le mie ricerche di insetti nell'orto, e a volte finivano per scappare tra i mobili, e dopo qualche tempo la meravigliosa farfalla compariva all'improvviso nella mia cameretta, attratta dalla luce della finestra.

Ora, purtoppo, il macaone è divenuto abbastanza raro dalle mie parti. La diminuzione degli orticelli a conduzione familiare ha probabilmente contribuito alla sua rarefazione. Le sue larve, infatti, si sviluppano sulle ombrellifere, e trovavano abbondante nutrimento nelle gombine di carote (Daucus carota) e finocchio (Foeniculum vulgare). Questa bellissima farfalla diviene adulta in primavera, dalle crisalidi che hanno svernato; quindi (alle nostre latitudini) si ha una prima generazione, con adulti che sfarfallano in estate e che danno vita ad una seconda generazione, i cui bruchi divenuti crisalidi passeranno l'inverno in diapausa, attaccati con la loro serica cintura ad un rametto o ad un muro.

Anni fa ricordo che avevo seminato in campagna, lungo la riva, le carote; lo scopo era solo quello di aiutare queste bellissime farfalle a trovare cibo adeguato per la propria prole. Provateci anche voi, magari lasciando nell'orto fino ad autunno inoltrato queste piante con la loro bella chioma verde che ricorda vagamente le felci; e in giardino non dimenticate di piantare ligustro e buddleja: soprattutto la seconda, in estate, diventa un fornitissimo "bar" per questa e per tante altre specie. Con un pò di fortuna, anche il vostro orto potrà ospitare questa meravigliosa farfalla.

Un macaone (Papilio machaon) si riposa sull'erba. Foto di Andrea Mangoni

Un'esperide (Ochlodes silvanus?) si riposa dopo la pioggia. Foto: Andrea Mangoni.

Un'esperide (Ochlodes silvanus?) si riposa dopo la pioggia. Tutte le foto sono di Andrea Mangoni

E' una strana stagione, quella che si sta dipanando quest'anno nel veneziano. Un maggio ed un giugno capricciosi, che alternano giornate di pioggia e di sole estivo.

In campagna, la mia siepe è in fiore. Il ligustro (Ligustrum sp.) attira con le sue infiorescenze centinaia di insetti, dai coleotteri ai ditteri, dalle farfalle alle api. Anche il melograno si sta rivestendo di petali rossi, ma le sue attrattive per la fauna sono molto più misere, in questa stagione.

Dopo una giornata di pioggia, gli insetti semi addormentati rimangono immobili sulle foglie, in attesa di un raggio di sole. Mosche di ogni forma, colore e dimensione affollano gli steli ed i rami; nel verde opaco sotto il cielo plumbeo, rifulgono come fiammelle vivaci alcune farfalle esperidi, forse degli Ochlodes silvanus. Immobili, ma vigili, sempre pronte a scattare al minimo accenno di pericolo, si lasciano comunque avvicinare abbastanza tanto da riuscire ad ammirarle bene.

Dopo settimane di forzata inattività, la chance di poter girovagare e lavoricchiare lungo la mia riva è allettante. E strappando erbacce e tagliando rovi, scopro con sommo piacere che il salice cenerino (Salix cinerea), che pensavo sparito per sempre, è tornato a crescere più bello e forte di prima. E' una bella sorpresa, anche perchè le talee che avevo portato a casa in primavera non avevano assolutamente attecchito. E come lui, anche il biancospino (Crataegus monogyna) e ed una piccola farnia (Quercus suber) sono tornati a spuntare tra l'erba.

Il corbezzolo poi ha iniziato a mostrare i primi frutti, verdi e piccini. Già pregusto il momento in cui diverranno magnificamente rossi e teneri, buoni da mangiare anche così, su due piedi!

Un'altra pianta colpisce la mia attenzione, in queste passeggiate. E' l'aglio delle vigne (Allium vineale), che non dà vita a fiori veri e propri, ma che sfoggia capolini formati da bulbilli rosei, che spessissimo iniziano ad emettere le proprie foglioline mentre sono ancora attaccati alla pianta, col risultato che queste erbacee perenni assomigliano ad una scultura d'arte moderna o alla scarmigliata testa di una Gorgone mitologica. In compenso, i narcisi devono ancora fiorire. Pazienza, bisognerà aspettare ancora per ammirare le loro corolle tubuliformi.

Ho avuto anche un'altra sorpresa, davvero inattesa, facendo pulizia lungo una riva. Dopo aver rimosso un cumulo di erbacce, mi sono infatti ritrovato a fissare nientemeno che... una minuscola pianta di sughera (Quercus suber)! Com'è stato possibile trovare in Veneto questa pianta così tipicamente meridionale? Presto detto: due anni fa mio padre l'aveva portata, sotto forma di alberello sradicato e moribondo, a seguito di un viaggio a Latina, in Lazio, dalla campagna dei miei nonni. Qui le sughere prosperano, ma a volte capre e lavori stradali fanno scempio delle giovani piante. Mio padre l'aveva trovata e portata a casa nella speranza di salvarlo. E così l'alberello di Latina, trapiantato nel miglior modo possibile, aveva finito col soccombere al gelo del nord... almeno così sembrava. E invece, dal ceppo ben protetto, sono spuntati nuovi germogli. Certo la pianta non resterà a lungo nella siepe, e presto sarà trapiantata altrove, ma per quest'estate godrà ancora della compagnia dei salici e delle farnie.

La mia riva!

Leonida, il nuovo gallo di Polverara del mio allevamento. Foto di Andrea Mangoni

Da bambino quando mi mettevo davanti alla TV lo spettacolo dei prestigiatori, che estraevano dal cappello apparentemente vuoto conigli e colombe, mi aveva affascinato enormemente. E' un pò il sogno di sempre, quello di estrarre opportunità dal nulla. E, ieri, mi è stata data proprio un'opportunità insperata, un coniglio (o meglio, un galletto) è stato tirato fuori apposta per me da un cappello vuoto. Durante una visita a Bruno Rossetto, mi sono trovato davanti ad un gallo nero, dal ciuffo troppo abbondante e all'indietro, dall'aspetto smilzo, con due strane corna bitorzolute ritte in testa. Sangue di Polverara, senza dubbio, ma... da dove usciva? Per quanto ne sapevo, l'ultimo gallo puro di ceppo Rossetto era morto in ottobre. Da dove veniva quindi quell'esemplare, che nelle visite precedenti avevo visto sì, ma solo di sfuggita? La risposta è stata... una sorpresa. Era infatti l'ultimo figlio maschio rimasto di quel gallo e di una Polverara bianca, niente più di un pollastrino al momento della morte del padre. Non particolarmente bello, il ciuffo completamente all'indietro, la forma del corpo troppo simile a quella di un combattente... ma di fronte a me avevo, pur sempre, un maschio puro di ceppo Rossetto, una cosa che non mi sarei decisamente aspettato di trovarmi di fronte. Un'opportunità, dicevo. Sì, perchè un simile animale mi potrà dare la chanche di continuare a selezionare il ceppo Rossetto per quanto riguarda la forma, senza dovremi dannare per sistemare anche quanto concerne il colore... cosa impossibile con l'altro maschio in mio possesso, Briareo, che ha ereditato la "fastidiosa" doratura della madre Padovana gran ciuffo, e che continua a trasmetterla ai suoi figli: per eliminarla occorreranno più generazioni.

Insomma, una nuova opportunità per il mio allevamento, ed anche per il vecchio ceppo Rossetto delle Polverara.

Leonida, il nuovo gallo di Polverara del mio allevamento. Foto di Andrea Mangoni