Lagole, Laghetto delle Tose. Foto di Andrea Mangoni.

C'era una volta un dio.

Si chiamava Trumus Icatei, ed aveva a cuore il destino degli uomini. Curava le ferite, proteggeva i guerrieri, donava nuove vite e guariva dalla sterilità. E per fare tutto questo aveva scelto di abitare in un luogo appartato, nascosto tra le montagne del Cadore, dove le vette delle Dolomiti racchiudevano come uno scrigno i piccoli laghetti che formavano il complesso chiamato Làgole.

Uno dei laghetti superiori di lagole. Foto di Andrea Mangoni.

Le donne dei villaggi vicini si recavano a quelle acque piene di speranze, pensieri, desideri. Desideri di maternità, desideri di vita, desideri di restare giovani e belle per sempre. Per questo esse facevano il bagno di notte, d'estate, nel Laghetto delle Tose, la più profonda delle polle presenti. E in quella sfortunata notte nel plenilunio d'Agosto, anche Bianca, la più bella, si unì a loro. Ma quella notte, a Làgole, non erano sole. Ad attenderle, infatti, trovarono le Anguàne. erano anche loro donne, ma vivevano lontano dagli uomini; libere da legami ed indumenti, libere persino di cambiare le proprie forme in animali, i lunghi seni flosci pendenti, i piedi di capra scalpitanti. Erano donne, ma non sopportavano che quelle altre donne cercassero ed ottenessero ciò che loro non avevao ricevuto: la bellezza, o più facilmente l'integrazione, l'essere uno, l'ammirazione. E così le anguane massacrarono, a colpi di zoccolo, tutte le ragazze del villaggio, e ne bruciarono le case. Quando gli uomini, viste le fiamme, accorsero per cercare di evitare il peggio, era tutto già finito. Non poterono far altro che raccogliere il corpo di Bianca, adagiarlo su una barella, e trasportarlo verso le Marmarole. Trumus Icatei si impietosì, e dalle gocce di sangue che cadevano dalla barella di Bianca nacquero tanti fiorellini cremisi: i ciclamini. Trasformò poi lei e gli uomini che la accompagnavano in rocce, attorno alla Croda Bianca. E per finire sterminò quelle malvage Anguàne, mutando temporaneamente le acque del lago da benevole a venefiche.

Felce. Foto di Andrea Mangoni.

Forse questa è solo un'altra favola delle nostre Dolomiti, o forse no. A Calalzo (BL), uno dei centri più antichi del Cadore, esiste da sempre nella zona di Làgole una serie di piccole polle e laghetti che in epoca preromana erano luogo di culto di divinità guaritrici. E col tempo la fama di Làgole e del Laghetto delle Tose non è mai venuta meno: le sue acque ricchissime di ferro vennero sempre considerate un toccasana per ogni tipo di problema legato alla fertilità, al ciclo mestruale, alle piaghe ed alle ferite di ogni genere. Così la gente andava a raccogliere di notte le acque del laghetto, per poterle poi utilizzare per i propri fini. Ho scritto "andava", ma sarebbe stato più corretto scrivere "va": ancor oggi, infatti, c'è chi usa le acque di Làgole per guarire dai propri mali. Con risultati a volte sorprendenti, come ho potuto vedere io stesso. Ancor oggi sono tantissimi i ragazzi, poi, che durante l'estate vanno a passare i pomeriggi sulle sponde del Laghetto delle Tose, prendendo il sole, divertendosi e facendo il bagno nelle sue acque gelide. E per chi desidera invece mangiare qualcosa di buono, allo Chalet Làgole, posto sulle rive del Lago di Centro cadore, si possono degustare piatti tipici affacciati su una magnifica terrazza all'aperto che offre una visuale stupenda sul bellissimo paesaggio e sui monti verdi che si specchiano nel lago.

Il Laghetto delle Tose. Foto di Andrea Mangoni.

Ma Làgole non è solo un luogo denso di significati profondi, di storia o di divertimento: è ricchissimo di vita e natura, come pochi altri posti attorno. Nelle sue acque nuotava, fino a qualche anno fa, il gambero di fiume italiano; tra le erbe palustri cacciano giovanissime natrici dal collare, e sulle sue rive la pianta carnivora Pinguicula vulgaris dipana le sue rosette di foglie a forma di stella, simili a lingue vischiose e appuntite che catturano miriadi di piccoli insetti. Nelle radure del bosco che contiene Làgole, i lamponi selvatici dissetano i viaggiatori mentre orchidee spontanee e fiori di ogni genere abbelliscono il luogo con le loro corolle. E nel loro novero, anche i ciclamini, ultimo regalo della povera Bianca.

Pinguicola vulgaris. Foto di Andrea Mangoni.

Il torrente che alimenta lagole. Foto di Andrea Mangoni.Epipactis helleborine, un'orchidea spontanea. Foto di Andrea Mangoni.Il Laghetto delle Tose. Foto di Andrea Mangoni.I ciclamini di Bianca. Foto di Andrea Mangoni.
Pomodoro Nasone del Cavallino. Foto di Valerio Ballarin.
Per la terza volta, mi ritrovo a parlare di questo meraviglioso frutto. Per la terza volta, perchè a quanto pare in precedenza ho preso qualche cantonata.
Dopo il mio ultimo post a riguardo, mi ha scritto molto gentilmente Valerio Ballarin, che ha selezionato il Pomodoro Nasone del Cavallino e che lo produce e commercializza da diversi anni. Allegate alla sua mail mi ha inviate parecchie fotografie, che permettono di vedere per bene l'aspetto dell'originale Nasone e di confrontarlo con quello dei pomodori che avevo trovato commercializzati come tali. Questi ultimi assomigliano moltissimo, in pratica, a dei Cirio molto grossi, e da testimonianze di qualche contadino del Cavallino è emerso che probabilmente vengono coltivati localmente da parecchi anni. Non è detto che non si tratti di una selezione locale del Cirio che ne differisce per taglia, ma la forma selezionata del Pomodoro Nasone è, appunto, tutt'altra cosa.
Pomodoro Nasone del Cavallino. Foto di Valerio Ballarin.Dalle foto si vede chiaramente che la forma del frutto è sensibilmente diversa. Infatti a circa un terzo della lunghezza esso inizia ad allargarsi e a schiacciarsi, fino a raggiungere il massimo pella propria larghezza poco dopo aver superato la metà della lunghezza stessa, e finisce poi per restringersi più o meno bruscamente formando una sorta di punta. Può raggiungere e superare i 12-13 cm.
Viene commercializzato quando è ancora verde, ma a piena maturazione assume una bella colorazione rosa-rosso intenso. Spesso permangono striature verdi vicino al picciolo.
Il sig. Ballarin ha inoltre aggiunto che la produzione in serra coperta va da metà giugno a metà luglio, e che per quanto lo riguarda non gli risulta che questo ecotipo abbia una particolare resistenza nei confronti di determinate malattie. In compenso, la germinabilità dei semi pare sia invece davvero buona.
Ecco, stavolta finalmente ci siamo... abbiamo trovato il vero Pomodoro Nasone! Ora non resta che riuscire a recuperarne qualche seme...
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Maggiori informazioni sulla biodiversità orticola del Veneto si possono trovare nel
PROGRAMMA DI SVILUPPO RURALE PER IL VENETO 2007-2013

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Pomodoro Nasone del Cavallino. Foto di Valerio Ballarin.
Femmina di Polverara. Foto di Andrea Mangoni.

Pippo, Gigia e Greta hanno una sorella. O meglio, una sorellastra. Ed hanno pure un nipote...

Due anni fa portai a casa, dall'allevamento del sig. Rossetto, Leonida. Era già adulto e riproduttivo, quando arrivò nel mio allevamento, e per quel che mi era dato sapere si era... dato da fare anche prima di finire da me a Camponogara. Infatti il sig. Rossetto, prima di darmelo, aveva fatto incubare alcune uova che portavano la sua progenie. Progenie sfortunata, verrebbe da dire... di tutti i pollastrelli, non ne rimase al sig. Bruno che uno, una femmina bianca, che l'analisi delle caratteristiche morfologiche farebbe pensare esser figlia di Circe, una delle decane morte l'anno scorso di vecchiaia.

Nel corso degli scorsi anni, questa gallinella si è rivelata una discreta depositrice ed una buona chioccia. Presenta un ciuffo toppo grosso, è vero, e forse pure tracce di ernia cerebrale. Ma la cresta a cornetti è presente, e soprattutto gli orecchioni sono davvero magnifici. La taglia, purtroppo, lascia un po' a desiderare, ma si sa... non si può aver tutto dalla vita. In questo momento, con la necessità di variabilità genetica che ha il ceppo in questione, Peppa (così l'ho chiamata) rappresenta una vera manna dal cielo.

La parte posteriore di una cresta in cui agisce l'effetto del gene Dv della cresta a cornetti in eterozigosi. Foto di Andrea Mangoni.Detto questo, nemmeno la signorina è stata a guardare: lo scorso anno infatti è diventata mamma, ed il padre della sua figliolanza altri non era che un Black Jersey Giant blu, un maschio di cui avevo fatto dono a Rossetto prima che decidesse di abbandonare l'allevamento. Di tutta la sua prole è rimasto un grosso e ben formato gallo nero, privo di ciuffo quasi del tutto ma con una cresta notevolissima, che parte singola e si divide posteriormente, come si vede nella foto piccola qui a destra, che ritrae appunto la parte posteriore dell'appendice in questione. Se vi state chiedendo il perchè di questa particolarità anatomica, andrò subito a spiegarvelo.

La cresta a cornetti tipica delle Polverara è dovuta all'azione di un gene, il gene D, o per esser più precisi a quella di un suo particolare allele, Dv. Questo gene, in omozigosi, agisce sulla cresta di tipo semplice trasformandola in due corna più o meno grandi. Ma cosa succede quando esso è in condizioni di eterozigosi, cioè quando esso viene ereditato solo da uno dei due genitori? In questo caso, Dv si comporta da incompletamente dominante: agisce cioè modificando la cresta doppia iniziandone lo sdoppiamento, ma senza però arrivare ad avere le due corna perfette. L'azione, in questo caso, può esser molto varia. Come nella foto mostrata, la cresta si può aprire solo posteriormente; in altri può formare quasi una coppa come nella Gallina Siciliana, in altri ancora invece produce uno sdoppiamento completo della cresta in due creste semplici affiancate, e così via. Ora, accoppiando un animale come quello in questione con una Polverara nera con cresta a cornetti perfetta, potrò ottenere metà della prole con cresta a cornetti perfettamente sviluppata e metà invece simile al padre. In questo modo, potrò ampliare la quantità di esemplari con questa caratteristica anatomica così distintiva della Polverara.

Ma tornando a Checco (così ho deciso di chiamare l'incrocio in questione): anche gli orecchioni non sono male, abbastanza bianchi, ed il piumaggio è di un magnifico nero con riflessi verdi. Insomma, un altro animale davvero interessante. Interessante perchè, col suo aiuto, posso provare finalmente ad aumentare consistentemente la taglia delle mie Polverara, come da tempo desidero; inoltre non mancherò di provare ad unirlo anche ad una grossa gallina a colorazione sparviero, per cercare di selezionare un ceppo a cresta semplice con questa particolare barratura e contraddistinto da una taglia davvero interessante.

Comunque sia, per farla breve, questi due animali da ieri sono entrati a far parte del mio allevamento. Non vi racconterò delle piccole peripezie per individuarli e poterli recuperare; basterà sapere che saranno in ottime mani e che cercherò da subito di ottenere da loro nuovi pulcini che possano diventare fonte di speranza per questo ceppo così antico.

Incrocio di polverara e Black Jersey Giant. Foto di Andrea Mangoni.
...No, mamma. Questo col CAVOLO che lo vendiamo a Sothesby's! Foto di Andrea Mangoni.
...No, mamma. Questo col CAVOLO che lo vendiamo a Sothesby's!
Ok. La notizia non è delle più fresche, ma è pur sempre interessante. La famosa casa d'aste Sothesby metterà in vendita per una volta non opere d'arte e gioielli, ma cesti di verdura. A prezzi da favola.
In pratica, il prossimo 25 settembre verrànno messe all'asta ceste contenenti ortaggi di varietà rare o antiche, coltivate con metodi tradizionali. Certo, bisogna capire COSA sia l'evento e COSA sia davvero in vendita. Cos'è, l'ultima espressione di un trend? Una furba mossa commerciale? Un'occasione di beneficienza (il ricavato dell'asta andrà a favore di associazioni di volontariato). E cosa si vende, qualche grammo di carbonio ed altri composti chimici organizzati in molecole organiche? Alimenti saporiti? Storia contadina? O biodiversità?
E' stato fatto notare che esiste il rischio che passi un'idea malsana, quella cioè che mangiare bene e mangiare bio stia diventando una roba da ricchi, o che il seed saving sia una cosa per collezionisti. Credo (spero) piuttosto che la gente prenderà questa operazione commerciale per ciò che è, un'operazione commerciale, appunto, o poco più. La realtà è invece un'altra e cioè che sempre più persone decidono di tentare la strada dell'autoproduzione per arrivare ad avere sulla propria tavola cibo che non venga da migliaia di chilometri di distanza, ma dall'orto, dal giardino o dal terrazzo di casa. Sarà poi vero, come ha detto James McWilliams, che si tratta di un'attenzione alle antiche varietà fondata più su un'ideologia che su un'utilità pratica? E' vero che non si possono utilizzare le antiche varietà orticole per le produzioni massali del commercio mondiale? Forse, anzi, certamente sono meno adatte al commercio globale degli ormai ubiquitari ibridi F1; ma le vecchie varietà orticole rappresentano un'enorme ricchezza per tutti coloro che le verdure e la frutta se li producono da sè, e racchiudono in più la straordinaria ricchezza di una biodiversità agronomica vecchia di secoli se non di millenni... ed in più, generalmente sono più gustosi e saporiti degli ibridi! Perchè dovremmo abbandonarle? Perchè perdere un patrimonio di sapori e resistenza alle malattie, di adattabilità alle più avverse condizioni climatiche, di sopravvivenza nei confronti della siccità, e mille altri fattori ancora?
Ecco perchè, seppur lascio volentieri a Sothesby's il privilegio di vendere una zucca rosa a mille euro, mi riservo il piacere di tenere nella concimaia le piante di zucca marina di Chioggia nate dai semi che ho ricevuto da un signore chioggiotto che ogni anno si mantiene le sementi, così come pianterò volentieri il prossimo anno il pomodoro nasone ed un altro ecotipo selezionato da un agricoltore delle Dolomiti: per il gusto di portare in tavola, oltre che tradizione e storia, anche tanto sapore e tanta bontà.
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Pomodori nell'orto. Foto di Andrea Mangoni.
Pesca Lorenzina. Foto di Andrea Mangoni.
Pochi anni fa lo zio di mia moglie Roberta, che abita in provincia di Mantova, volle regalarci tre pianticelle di pesco da lui riprodotte da seme. Erano figlie di una pianta che da lustri garantiva loro delle ottime pesche a pasta bianca di pezzatura media. Quando finalmente, dopo qualche anno di attesa, si sono visti i frutti, la nostra soddisfazione è stata enorme. BUONISSIMI! Non c'erano altre parole per definirli. Seppur piccini, la loro polpa succosa era la fine del mondo. Giocoforza è stato dunque per me cercare di sapere se si potesse trattare o meno di una varietà tradizionale o meno.
Ho quindi chiesto consiglio al gruppo dei Frutti antichi dei nostri nonni su facebook, dove il gentilissimo Fabio Di Gioia mi ha informato che si tratta di una antica varietà propria di quelle terre, il Pesco Lorenzino.
Albero di Pesco Lorenzino. Foto di Andrea Mangoni.Il Pesco Lorenzino è una vecchia varietà del 1899 originaria della zona del mantovano. Produce un frutto di pezzatura media, di forma tondeggiante, leggermente allungato e regolare. La buccia è di colore verde chiaro ed in parte ricoperta di rosso. La polpa è biancastra, dolce, succosa, saporita e semi-spicca (ovverosia solo parzialmente aderente al nocciolo, che di conseguenza si toglie facilmente). Matura dalla prima metà d'agosto in poi, regalando in abbondanza i suoi dolci frutti.
Fin qui la descrizione fornitami da Fabio. E devo dire che corrisponde perfettamente alla pianta che mi sono trovato davanti. Aggiungo una cosa: è una delle pesche più buone in assoluto che mi sia capitato di mangiare. La buccia, lievemente pubescente, si toglie con molta facilità. Localmente ben nota seppur non troppo commercializzata, nelle campagne mantovane mi è capitato di vederla riprodurre solo da seme. In questo modo le caratteristiche delle piante figlie potranno in qualche caso variare - anche tra le mie una ha dato frutti non proprio uguali alle altre - ma in generale la varietà si propaga piuttosto bene.
Per non saper nè legger nè scrivere, però, io quest'anno la riprodurrò per innesto. Un prugnolo selvatico ha già ricevuto le prime, preziose gemme, così come un pesco nato da seme, ed altri ne seguiranno... Non sia mai che si perda nella mia campagna questa stupenda varietà!
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Pesca Lorenzina. Foto di Andrea Mangoni.
Andrea Mangoni e gallo di Polverara. A voi decidere chi dei due è chi. Foto di Roberta Maieli.

Andrea Mangoni e gallo di Polverara. A voi l'ardua scelta nell'affibbiare la giusta identità ai due facinorosi...

Un post decisamente insolito, perchè per una volta ci conosceremo... viso a viso.

A causa infatti di una telefonata di... lavoro, oggi mi sono dovuto far fare alcune foto da mia moglie Roberta assieme ad alcuni dei miei animali. Ecco quindi tre scatti assieme alle mie Polverara, in particolar modo a Pippo ed Irene. Si noti, prego, la somiglianza evidentissima nella prima foto tra animale a due zampe e due braccia ed animale a due zampe e due ali. Ecco il motivo per cui, per quante botte mi dia, Pippo rimane il mio gallo preferito...

Io e la vecchietta Irene. Foto di Roberta Maieli.Io e Pippo, ancora. Foto di Roberta Maieli.
La siepe di Kochia scoparia nell'orto di Elio. Foto di Andrea Mangoni.

Ereditare, per me, significa tanto e l'ho già scritto altrove.

Negli ultimi anni, in molti mi hanno lasciato qualcosa in eredità. A partire da Bruno Rossetto, che mi ha lasciato il compito di occuparmi del suo ceppo di Gallina di Polverara; e come se non bastasse, mi ha dato anche la sua balsamita, tramandata nella sua famiglia da duecento anni almeno. E come lui il sig. A.F., che pur malato ed in procinto di andare in ospedale non ha voluto fare a meno di lasciarmi alcuni riproduttori del suo gruppo di Gallina Boffa. O magari come Elio, un mio anziano vicino di campo, che quest'anno finalmente di darà le sementi dell'erba delle scope che coltivava già sua mamma prima di lui. O ancora come le due vecchiette mantovane ultraottantenni che mi hanno regalato le talee della loro rosa Cocktail, riprodotta da loro stesse nel medesimo modo qualche decina di anni fa.

Ma si può ereditare qualcosa non da una persona, ma da una... pianta? Si può avere per un istante la netta sensazione che una pianta decida di lasciarci qualcosa di suo?

La rosa Cocktail delle vecchiette mantovane. Foto di Andrea Mangoni

Tempo fa scrissi qui sul blog dei miei tentativi di riprodurre per innesto un colossale nespolo secolare rinvenuto lungo uno dei fossati prossimi a quelli della mia campagna. Era una pianta così magnifica da far pensare ad un vero monumento verde. Gli innesti non hanno mai preso. Nessuno. Così come è stato impossibile riprodurre quell'enorme esemplare per talea. Così, visto che il periodo buono per gli innesti a gemma è arrivato e che un nespolo del frutteto è in succhio (cioè la sua corteccia si stacca facilmente dall'albero), sono andato a vedere di recuperare qualche rametto per trarne le gemme necessarie.

Morto.

Il gigante era lì, davanti a me, morto e secco. Strangolato dalla colossale edera che lo ricopriva quasi del tutto. Un patrimonio genetico vecchio di secoli, sparito nel nulla.

E' stato un vero colpo allo stomaco. Un dispiacere enorme, accuito dalla sensazione di non esser riuscito a fare nulla per salvare quel gigante. Prima di andarmene, però, mi è venuto in mente di provare a carcare se, per caso, in qualche anfratto della corteccia o sul terreno vi fossero rimasti dei vecchi frutti rinsecchiti, per vedere se esistesse la possibilità di ricavare dei semi.

E cercando nel terreno accanto alla pianta ormai morta, ad un tratto le ho viste. Tre minuscole piantine di nespolo, dalle foglie pallide e tenerissime. A dirla così sembrerà una cosa piuttosto scontata, ma il bello è che non lo è affatto. Negli ultimi 6 anni, da quando cioè ho scoperto l'esistenza della pianta, non era mai nata nessuna piantina sotto l'albero madre. E lo so per certo, perchè le ho cercate invano a lungo. Ci saranno magari ottime spiegazioni scientifiche per la cosa, come - che so? - il fatto che magari la presenza del gigante inibisse la crescita di nuove piantine attorno a se, ma per un istante, uno solo, ho avuto l'impressione che il vegliardo verde avesse voluto lasciarmi in eredità la propria discendenza, perchè non andasse del tutto dispersa e distrutta.

Così, due pianticelle sono finite in un vaso capiente nel terrazzo di casa mia. La terza, ancor più minuscola, è rimasta lì, ai piedi della madre, di cui magari, tra qualche lustro, potrà prendere il posto come gigante verde.

Le due piantine di nespolo (Mespylus germanica) figlie del gigante verde. Foto di Andrea Mangoni.
Galline, gallo e pollastrelli di Boffa. Foto di Andrea Mangoni.
Da qualche tempo ho iniziato una collaborazione con l'ALBC, l'American Livestock Breeds Conservancy, associazione americana deputata alla salvaguardia delle antiche razze zootecniche di quel Paese. In pratica, ho ottenuto il permesso di tradurre alcuni loro interessanti articoli in italiano, e di proporli attraverso le pagine del mio sito http://www.gallinaboffa.com.
Per adesso, vi lascio la traduzione di un testo sulla selezione di un gruppo di riproduttor per arrivare ad avere animali vigorosi e produttivi. Il testo originario è di Don Schrider.
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AVICOLTURA E BIODIVERSITA': LETTURE PER SAPERNE DI PIU'

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Pomodoro Nasone del Cavallino. Foto di Andrea Mangoni.
L'anno scorso scrivevo in queste pagine che, da innamorato qual sono dei pomodori, ero curioso - anzi, ansioso - di provare un particolare ecotipo di questi ortaggi selezionati negli ultimi anni nel comune di Cavallino Treporti (VE): il pomodoro Nasone o Cirione.
La zone del cavallino, a nord-est di Venezia, è da sempre votata alle coltivazioni ortofrutticole. Un tempo nota per la produzione di pesche, drasticamente ridottasi dopo l'alluvione del 1966, oggi è invece nota fornitrice di verdure, tra cui l'asparago selvatico ed il pomodoro (Solanum lycopersicum). Di quest'ultimo è diffusa localmente la coltivazione della varietà "tonda liscia insalatara", ottima per il consumo fresco, anche se negli ultimi anni le si sono affiancate molte altre varietà. Una selezione però assolutamente locale, oramai strettissimamente localizzata, è quella del pomodoro Nasone, un ecotipo autoctono derivante dalla selezione di pomodori di tipo piramidale che raggiunge una notevole taglia (oltre i 200 gr) e che risulta particolarmente saporito, oltre che resistente a malattie quali il marciume apicale. E' una varietà precoce, che viene messa sul mercato a fine luglio, spesso quando le bacche sono ancora verdi. Stando al PSRV, sarebbe attualmente prodotto da non più di una manciata di aziende agricole; insomma, una varietà locale che risulta a forte rischio di erosione genetica.
La limitatissima produzione mi faceva disperare di riuscire a trovarlo, ma così non è stato. Alla fine, con mia enorme gioia, il mio "frutaro£o"* di fiducia è riuscito a portarmene a casa un po'. Sono assolutamente OTTIMI. La polpa è soda e gustosissima, con pochi semi. La pezzatura è notevole - oltre i 10 cm di lunghezza ed i 200 gr di peso. Ora, dopo averli lasciati appena un po' maturare, ho iniziato a raccogliere i semi, che verranno gelosamente conservati fino al prossimo anno per poter verificare se è vero che questa varietà presenta una germinabilità ridotta. Nel frattempo, mi gusterò i frutti rimasti in insalata, oppure li taglierò a sezioni sottili e li mangerò sopra una buona bruschetta calda, conditi con olio d'oliva, un pizzico di sale ed un po' di origano. Alla prossima!
*Frutaro£o: fruttivendolo.
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Aggiornamento del 28/8/2010
Anche in questa occasione pare che questo NON fosse il vero Pomodoro Nasone del Cavallino; sono stato infatti contattato dal sig. Valerio Ballarin, selezionatore e prodttore di questo ecotipo, che mi ha gentilmente inviato foto e notizie di questo frutto. maggiori informazioni le trovate in
QUESTO POST

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