Il Carnevale della Biodiversità - L'isola che c'è.

Maschio di drillo di Bioko (Mandrillus leucophaeus poensis). Foto di Justin Jay, fonte The Drill Project.

Oggi, anniversario della nascita di Charles Darwin, in molti nel mondo ricorderanno la sua opera e le sue geniali intuizioni. Molti magari penseranno al suo viaggio sul Beagle, a quanto visto intorno al mondo, o a quella fucina di biodiversità che sono le Galapagos. Già, perché le isole, continenti in miniatura isolati dal mare in cui la distanza dalla terraferma agisce come spinta evolutiva massimizzando in molti casi la capacità degli organismi di dare origine a nuovi taxa per speciazione. L'isola come fucina di biodiversità, l'isola come avamposto delle nuove forme di vita. Ecco quindi l'ottava edizione del Carnevale della Biodiversità, ospitato questa volta da Leucophaea (dove troverete l'elenco dei post): L'isola che c'è.
E se l'isola, invece, non ci fosse più? Proprio per le loro straordinarie caratteristiche, le isole sono ambienti sì unici ma anche straordinariamente fragili, come dimostra la storia della loro colonizzazione. 

Pensiamo alla fauna e alla flora di tante isole dell'Oceano Indiano o dell'Oceania, pensiamo al Dodo, e alla sua estinzione, o all'introduzione nelle Hawaii di organismi altamente distruttivi come ratti, gatti e manguste, e capiremo come le isole possano perdere le loro
straordinarie comunità senza nemmeno quasi rendersene conto, ad una velocità folle. E quando ciò accade? A volte l'uomo può ancora intervenire, altre volte invece non c'è più nulla da fare. Ma la speranza non deve abbandonarci, come insegna l'esempio di Round Island.

Round Island. Foto BluChameleon.org.
Round Island è poco più di uno scoglio, un cono vulcanico poco distante da Mauritius. Ospitava una fauna unica composta da uccelli marini nidificanti e soprattutto da una serie di specie di rettili, alcune delle quali endemiche dell'isola. Quest'ultima era ricoperta da un fitto manto di foresta, con essenze notevoli come ad esempio anche l'ebano. Tutto questo, però, fino alla metà del XIX secolo. In questo periodo, infatti, alcuni pescatori decidono di lasciare sull'isola, verde e meravigliosa, alcune capre e alcuni conigli che possano servire col tempo da... viatico per i lavoratori del mare. Tempo un secolo, e la verde isola era divenuta un ricordo. L'appetito di capre e conigli aveva spogliato del tutto l'isola, impedendo anche il naturale rigenerarsi delle foreste. Round Island era diventata uno scoglio arido su cui sopravvivevano solo poche tracce della fiorente, e in certi casi assolutamente unica, flora autoctona dell'isola. Ma si era ancora in tempo per fare qualcosa?
Negli anni '70 del secolo scorso, Gerald Durrell (scrittore e straordinario naturalista) si rese conto che oramai il limite di guardia era stato passato da un pezzo, e decise tramite il suo Durrell Wildlife Conservation Trust, con l'appoggio di altre associazioni ambientaliste inglesi, di cercare di salvaguardare quello che restava della biodiversità dell'isola.

Le tre specie di rettili interessate dal programma di salvaguardia: lo scinco di Telfair (1 - Liolopisma telfairii), il gecko di Round Island (2 - Phelsuma guentheri) e il Boa di Round Island (3 - Casarea dussumieri). Foto BluChameleon.org.

La situazione, come abbiamo detto, era critica. Solo una minima parte della foresta originale era rimasta intatta, e l'isola si presentava come uno scoglio arso dal sole ricco di piccole gole sulla sua estremità. La prima azione compiuta da Durrell fu quella di cercare le specie endemiche di rettili dell'isola, per tentare la strada della riproduzione in cattività e cercare in seguito di reintrodurle nel loro habitat naturale. Furono quindi catturati alcuni esemplari dello scinco di Telfair (Liolopisma telfairii), del gecko diurno di Round Island (Phelsuma guentheri) e del Boa di Round Island (Casarea dussumieri). Una quarta specie di rettile, il boa scavatore Bolyeria multocarinata, non venne più ritrovata, nonostante le ricerche in tutta l'isola, e venne perciò considerata estinta.

Bolyeria multocarinata. Estinta.
Una volta stabilite delle colonie in cattività di questi animali, e una volta che si iniziò ad avere le prime nascite, venne il momento di affrontare il punto più spinoso: restituire loro un habitat in grado di ospitarli. Il problema era la presenza sull'isola di capre e conigli, che avrebbero continuato a distruggere ogni forma di vegetazione e che presto sarebbero essi stessi arrivati alla fame. Vennero vagliate tutte le ipotesi, dalla deportazione alla sterilizzazione degli animali, ma risultavano tutte impossibili da mettere in pratica, a causa della conformazione dell'isola che rendeva difficile la cattura degli animali vivi. L'unica strada attuabile coi mezzi disponibili e in tempi accettabili risultò quindi essere la soppressione degli animali. E qui iniziò il vero putiferio: le associazioni animaliste inglesi alzarono gli scudi in difesa di capre e conigli. Un rappresentante di una di queste associazioni disse che avrebbe preferito vedere estinguersi ogni specie di rettile su Round Island piuttosto che uccidere un solo coniglio. Alla fine, con molta difficoltà e pena, le due specie invasive vennero eradicate: per i conigli si utilizzò un veleno specifico, mentre per le capre fu necessario che un tiratore scelto si trasferisse sull'isola, per eliminare uno ad uno gli animali che abitavano nelle piccole gole della parte superiore dell'isola.

Questo episodio dovrebbe dirla lunga sulla capacità dell'uomo di creare distruzione e scompiglio: prima si lasciano liberi organismi altamente devastanti in un ambiente incontaminato, poi li si deve eradicare, con sofferenza e pena per le povere bestie, se si vuole avere una minima speranza di salvare parte della comunità biologica originale dell'isola. Dopo alcuni anni, finalmente, i rettili di Round Island hanno potuto tirare un sospiro di sollievo: i boa sono passati da circo 250 a 1000 esemplari, sono state costituite nuove colonie di scinchi di Telfair e i primi incoraggianti tentativi di reintroduzione delle specie in questione stanno dando promettenti risultati. Persino l'isola, dopo quasi 20 anni di assenza di capre e conigli, inizia a rivestirsi di un tenue e sottile manto verde. la speranza è che un giorno anche l'originale foresta possa venire a ripristinarsi. Resta di certo l'amarezza per una simile quantità di vite sprecate, per le specie che si sono estinte e per tutta quella biodiversità che è andata perduta, forse per sempre.

Isola di Bioko e habitat dei drilli.
Ma dobbiamo guardare ancora a quelle isole che la biodiversità la stanno ancora conservando, pur tra mille difficoltà. A quelle isole che ci sono, e che vogliamo che rimangano a lungo. Una di queste, che si trova al largo del Cameroun e che appartiene alla Guinea Equatoriale, è l'isola di Fernando Pò, o per meglio dire l'isola di Bioko. Lunga 70 Km e larga circa la metà, abitatat da circa 150.000 persone, per lo più appartenenti al gruppo etnico dei Bubi, l'isola è una fucina di biodiversità: ci sono infatti oltre 50 specie di piante endemiche, 4 specie di camaleonti, un incredibile hospot per nuove specie di anfibi, punti di deposizione per le tartarughe marine e infine una concentrazione senza eguale di primati minacciati d'estinzione.

Giovane drillo di Bioko (Mandrillus leucophaeus poensis). Foto di Joel Sartore, fonte Bioko.org.

Tra le specie più rappresentative dell'isola, però, un cenno va certamente fatto sul drillo di Bioko (Mandrillus leucophaeus poensis), una sottospecie endemica del di per sé già raro drillo diffuso nell'entroterra del golfo di Guinea. Questi spettacolari primati, davvero poco studiati in natura, rappresentano bene la fauna minacciata di cui l'isola di Bioko sembra essere straordinariamente ricca. Quali sono i problemi cui vanno incontro questi animali? Uno dei principali sono le preferenze alimentari dei locali per quella che viene definita bushmeat, la cacciagione, termine omnicomprensivo che include tanto porcospini giganti e piccole antilopi quanto scimmie come, appunto, il nostro drillo. Specie nella capitale dell'isola, Malabo, il commercio delle carni di questi animali è molto sviluppato. Oltre al drillo sono naturalmente cacciate tutte le altre 7 specie di scimmie dell'isola, compreso il colobo rosso di Pennants (Procolobus pennantii), una delle 25 specie di scimmia più minacciate al mondo. se si pensa che apparentemente nessun centro di ricerca o zoo è riuscito a mantenere in cattività questa specie per più di un anno, è facile capire come la salvaguardia dell'habitat di questi animali assuma un'importanza incredibile.

Colobo rosso di Pennant (Procolobus pennantii). Fonte The Drill Project.

ma in questo caso l'uomo non ha aspettato di dover... raccogliere i cocci, e si è dato da fare. Così l'isola di Bioko è diventata sede di numerose ricerche su numerosi taxa animali, dai primati alle tartarughe marine, dai camaleonti agli anfibi. In questo caso, l'animale simbolo dell'isola resta però il drillo: in quanto specie ombrello, la sua salvaguardia significherebbe la salvezza per decine di altre specie animali,  garantendo così un futuro più roseo a tutta una serie di splendide creature, dalle ranocchie del genere Hyperolius al bellissimo ed endemico camaleonte di Fea (Trioceros feae).

Camaleonte di Feae (Trioceros feae) in display intimidatorio. Foto Elliott Chiu, fonte Bioko.org.

Come realizzare un simile traguardo? Con l'ecoturismo, con la ricerca e anche con progetti come The Drill Project, un lavoro ambizioso che mira a produrre un film sulle foreste di Bioko e sui drilli, finora mai filmati in natura (sotto, il trailer del film). Un progetto quindi da aiutare e sostenere, oltre che da divulgare il più possibile. Perchè è anche tramite queste iniziative che potremo parlare, a riguardo della biodiversità insulare, de "l'isola che ci sarà", e delle isole che continueranno ad esserci.



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